Archivio mensile:novembre 2022

💰 AZIONI JPMORGAN dividendo 3% – Da comprare coi tassi in aumento?

💰 AZIONI JPMORGAN dividendo 3% – Da comprare coi tassi in aumento?

Azionario, gli investitori vedono la luce in fondo al tunnel

Con l’inflazione elevata e le tensioni geopolitiche crescenti la recessione potrebbe essere vicina. Ad ogni modo per gli investitori azionari c’è ancora la possibilità di ottenere rendimenti nel lungo termine. A rivelarlo è Alex Tedder (in foto), head and cio of global and US equities di Schroders.
 
“Al momento in cui scriviamo, i tassi di inflazione complessiva in molti Paesi sono ancora elevati o in aumento”, ha spiegato l’esperto. “È legittimo il timore che le azioni delle banche centrali non siano sufficienti a contrastare l’aumento delle richieste salariali e si parla di un ritorno alla stagflazione degli anni Settanta. Tuttavia, sebbene lo shock dei prezzi del 2022 sia in qualche modo paragonabile a quell’epoca, è degno di nota il fatto che l’inflazione sottostante sembra già essere in fase di moderazione. Inoltre, mentre sembra improbabile un ritorno alla disoccupazione di massa, è del tutto possibile che un aumento dei posti vacanti, unito a un modesto incremento del numero di partecipanti, faccia diminuire i costi salariali in futuro”.
 
“Un rallentamento dell’economia sembra inevitabile, – ha aggiunto Tedder – ma i timori di una recessione profonda potrebbero rivelarsi infondati, almeno in alcuni Paesi. Con un tasso di disoccupazione così basso, i consumatori sono in grado di sopportare meglio l’aumento dei costi. L’azione dei governi per sostenere le bollette energetiche attutisce anche questo impatto. È da notare che i bilanci delle famiglie, che hanno beneficiato di un notevole accumulo di risparmi durante la pandemia di Covid-19, forniscono un cuscinetto per molti consumatori (anche se chiaramente non in misura sufficiente per le fasce di reddito più povere). Il quadro è simile nel settore delle imprese, dove la leva finanziaria è relativamente bassa e di durata superiore alla media. Nel complesso, ciò suggerisce che, sebbene restino sfide economiche sostanziali, l’inflazione potrebbe essere meno radicata e la recessione economica meno grave di quanto previsto da molti. Ciò è potenzialmente più probabile negli Stati Uniti, che sono effettivamente autosufficienti dal punto di vista energetico, beneficiano del fatto che quasi tutte le principali materie prime sono prezzate in dollari e hanno un’immigrazione positiva. In Europa, compreso il Regno Unito, il quadro è purtroppo molto più complesso”.
 
“Recessione o no, le stime degli utili dovranno scendere. Una delle caratteristiche interessanti dell’attuale ciclo di mercato è che, mentre i prezzi delle azioni sono crollati, gli utili sono stati finora per lo più notevolmente robusti. Il motivo è il pricing. I ricavi e i margini (escluse le società energetiche) sembrano destinati a calare nel 2023, creando un vero e proprio ciclo di declassamento degli utili che non si è ancora manifestato del tutto. Trovare il punto di minimo può sembrare controintuitivo, ma a nostro avviso l’attuale mercato ribassista ha quasi fatto il suo corso, anche se è probabile che la volatilità rimanga elevata ancora per qualche tempo. Il consenso sugli utili per azione dell’S&P 500, pari a 225 e 235 dollari, appare ancora piuttosto elevato e ci aspettiamo che nei prossimi mesi venga rivisto costantemente al ribasso, toccando il punto minimo nel terzo trimestre del 2023. Nel brevissimo termine, potrebbero verificarsi ulteriori delusioni, via via che le pressioni sulla redditività diventano più evidenti”.
 
“Ci concentriamo sulle aziende che possono prosperare in un contesto difficile e con un livello di rischio ragionevole. Molte di queste aziende si trovano nei settori sopra descritti, dove i tassi di crescita strutturale sono chiaramente più elevati rispetto al passato. Allo stesso modo, però, con la maturazione del mercato ribassista, la nostra ricerca ci sta portando in diverse aree che da tempo non sono più apprezzate, come ad esempio il Giappone”, ha concluso Tedder.

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Transizione energetica: come cogliere tutte le opportunità

L’invasione russa dell’Ucraina all’inizio di quest’anno è stata per molti paesi, soprattutto in Europa, un campanello d’allarme riguardo alle forniture di energia. Il passaggio dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili rimane l’obiettivo a lungo termine ma la nostra tabella di marcia è compatibile con la necessità immediata di sicurezza energetica si chiedono Bertrand Rocher e Marc Briand rispettivamente head of credit research e head of fixed income di Mirova
 
A giugno, a causa di un problema tecnico, il colosso russo dell’energia Gazprom ha ridotto del 60% il flusso di gas naturale attraverso il gasdotto Nord Stream 1.1 Poi, a luglio, l’impianto è stato fermato completamente. Per molti, si tratta di un esempio significativo della necessità di “indipendenza energetica” o comunque della necessità di affrancarci dalla dipendenza dal carbone, dal petrolio e dal gas. Ma il distacco graduale dai combustibili fossili non è affatto scontato.
 
“Oggi il settore energetico è all’origine di quasi tre quarti delle emissioni di gas serra (GHG)2 e da esso dipende la possibilità di scongiurare gli effetti più deleteri dei cambiamenti climatici. La strada per arrivare alla neutralità carbonica (cioè a zero emissioni o “net zero”) è però irta di sfide: richiederà sforzi combinati nel campo dell’elettrificazione, un’accelerazione della diffusione delle energie rinnovabili, come l’eolico o il solare, e l’ottimizzazione del consumo energetico” sottolineano gli esperti di Mirova (affiliata di Natixis IM).
 
Le questioni aperte sono molte. Per alcuni un passaggio accelerato alle fonti rinnovabili potrebbe essere troppo doloroso a breve termine, altri ritengono che la deriva dei costi della neutralità carbonica colpirà soprattutto i più poveri. Per altri non è possibile accelerare la messa a terra di nuova capacità di generazione di energia rinnovabile a tutte le latitudini.
 
Nel frattempo lo scenario a livello globale è molto differente. In USA a fine giugno la Corte Suprema degli Stati Uniti ha assunto una decisione che, in apparenza, ritarda l’azione degli USA a favore della transizione verso l’energia pulita. La Corte ha infatti stabilito che l’agenzia per la protezione dell’ambiente (Environmental Protection Agency) potrà fare ricorso al Clean Air Act per realizzare una trasformazione generalizzata solo previa esplicita approvazione del Congresso. Nel frattempo, 16 stati hanno legiferato per imporre la riduzione delle emissioni di gas serra. Ma si tratta tutti di stati a guida democratica.
 
Sul fronte europeo invece con il piano “RePower EU”, il Vecchio Continente si prefigge di diversificare le forniture di gas distaccandosi dal gas russo, entro il 2027. Il piano si articola in tre ambiti d’intervento. Nel breve termine, l’UE si concentrerà sull’ottimizzazione e il potenziamento delle infrastrutture per il gas esistenti, allo scopo di favorire la diversificazione delle fonti di approvvigionamento. Mentre nel medio e lungo termine, gli obiettivi cambieranno: la trasformazione energetica velocizzerà varie altre iniziative già in atto come il “Fit For 55” che mira a ridurre del 55% le emissioni di gas serra del continente entro il 2030.
 
Ma i combustibili fossili continueranno ad avere un ruolo preponderante nei mercati energetici, seppure secondo gli esperti di Mirova le alternative verdi e le società che intervengono nella transizione, cioè quelle che si occupano di energia eolica, solare, di stoccaggio di energia, di nucleare, idroelettrico e biomasse, offrano importanti opportunità di investimento.
 
“L’energia nucleare presenta il maggiore potenziale di generazione di energia a basse emissioni di carbonio, ma è costosa e controversa anche se il Parlamento ne ha approvato l’inserimento nella tassonomia verde dell’UE”3 evidenziano gli esperti. “L’idrogeno verde è un altro ambito promettente: ogni chilogrammo di idrogeno verde contiene infatti 2,2 volte energia in più del gas naturale, 2,75 volte in più della benzina e tre volte in più del petrolio greggio” sottolineano da Mirova. “La discussione sulle opportunità associate alla transizione energetica non può però prescindere dal ruolo dei veicoli elettrici (EV). Innanzitutto, la domanda è destinata a crescere notevolmente4: l’anno scorso sono stati acquistati 6,6 milioni di EV, il doppio rispetto al 2020, e il totale potrebbe crescere più del 60% nel 2022, fino a raggiungere 10,6 milioni di veicoli” concludono gli esperti.
 
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Il gestore della settimana: “Opportunità nell’high yield”

“Il ritmo dei rialzi dei tassi dovrebbe rallentare gradualmente, creando opportunità in alcuni segmenti del mercato high yield. Inoltre, gli emittenti di questo settore hanno fondamentali migliori rispetto al passato”. Questa è la previsione di Victoire Dubrujeaud, credit fund manager di La Française. Le valutazioni? “Convincenti”.

Qual è la situazione del segmento high yield nel contesto attuale?
“In un contesto di aumento dell’inflazione, di tensioni geopolitiche, di calo della crescita e di inasprimento della politica monetaria, i mercati finanziari sono stati colpiti duramente. Tuttavia, nel mercato del credito si distingue una classe di attività, il credito high yield, che a nostro avviso è stato meno colpito rispetto ad altri segmenti del reddito fisso, dato che le obbligazioni high yield sono meno sensibili alle fluttuazioni dei tassi di interesse. Anche la dispersione dei rating è stata molto limitata a causa dell’insolita correlazione tra l’aumento dei tassi e l’ampliamento degli spread. I premi di rischio high yield sono ora scambiati al di sopra delle loro medie storiche. In prospettiva, riteniamo che gli spread rimarranno volatili, dato che stiamo entrando in una fase di rallentamento economico globale. Tuttavia, il ritmo dei rialzi dei tassi dovrebbe rallentare gradualmente, creando opportunità in alcuni segmenti del mercato high yield. Inoltre, gli emittenti high yield hanno fondamentali migliori rispetto al passato: hanno approfittato del contesto di tassi d’interesse bassi degli ultimi anni per rifinanziare e allungare la scadenza media del loro debito e hanno adottato un approccio più prudente. Per questo motivo riteniamo che i tassi di default degli high yield aumenteranno solo moderatamente, soprattutto nei Paesi sviluppati”.

Le valutazioni sono convincenti?
“Riteniamo di sì. Basti pensare che rendimenti medi dell’8% sulle obbligazioni BB a 5-7 anni in Europa, è uno dei livelli più alti osservati negli ultimi 10 anni. E con prezzi medi vicini all’85% del valore nominale delle obbligazioni high yields, i fondi fixed maturity potrebbero a nostro avviso beneficiare del crescente effetto ‘pull to par’ e della minore sensibilità alle fluttuazioni dei tassi d’interesse”.

Esiste un rischio di rimborso anticipato in un contesto di tassi in aumento?
“In realtà, l’attuale contesto di rialzo dei tassi potrebbe rappresentare un’opportunità per le strategie di investimento a scadenza fissa, poiché i rimborsi anticipati, o ‘call’, che in passato costituivano un fattore di rischio significativo, oggi appaiono meno rilevanti. Il 75% dell’universo high yield è costituito da obbligazioni che prevedono un’opzione di rimborso anticipato che può essere esercitata a discrezione dell’emittente. In genere gli emittenti scelgono l’opzione call se possono rifinanziarsi a un tasso inferiore. Tuttavia, con l’aumento dei tassi d’interesse, riteniamo che i fondi target maturity soffriranno meno dei rimborsi anticipati”.

E un rischio di duration?
“I fondi di debito a scadenza fissa hanno un determinato orizzonte di investimento: il portafoglio è costituito da un paniere di obbligazioni la cui scadenza finale è inferiore o uguale alla scadenza del fondo. Pertanto, man mano che il fondo si avvicina alla scadenza, il rischio di duration diminuisce meccanicamente, rendendo i fondi più immuni alle fluttuazioni dei tassi d’interesse”.
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✈️ A2A e utilities italiane – AZIONI con ALTI DIVIDENDI pronti a spiccare il volo?

✈️ A2A e utilities italiane – AZIONI con ALTI DIVIDENDI pronti a spiccare il volo?